A John Cassavetes non interessavano tanto le "storie". Ma i personaggi. I legami esistenti fra di loro, i dialoghi che ne svelavano progressivamente le psicologie, le relazioni fra queste e gli ambienti che le condizionavano. Non delle storie interpretate da attori, quindi. Ma dei documentari su una realtà rappresentata dagli attori. Una situazione rovesciata, rispetto alla norma: il documento inventato, la vita, dagli attori che eseguiscono una determinata finzione. Il comportamento, il significato umano, la verità da una situazione nata dall'artificio.

Di conseguenza, un cinema interamente sacrificato all'Attore. Non alla ricerca di uno stile: ma al posizionamento più naturale della cinepresa, a vicende in tempo reale, di sequenze dai tempi lunghi, nelle quali il "cut" del regista non giungeva mai, liberando completamente gli attori. Ma costringendoli cosi a vuotarsi di tutto ciò che si portavano dentro, ben oltre le indicazioni scritte. Un cinema della libertà, ma pure della claustrofobia: nel quale gli attori erano cacciati, come farfalle impazzite, in ambienti ristretti, implacabilmente scrutati, analizzati. Fino ad essere abbandonati, poiché ormai esausti di ogni contenuto umano.

Come non comprendere che, dopo il deludente esordio di UNHOOK THE STARS, il povero Nick sia da un lato irresistibilmente attratto da un universo cosi particolare: e, al tempo stesso, costretto fatalmente a doverlo evitare come la più edipica delle pesti?

Sceneggiatura postuma del padre, SHE'S SO LOVELY riflette questa situazione. E le tribolazioni di due balordi ma pure marginali come Eddie e Maureen, la loro storia di passione amorosa e delirio poetico a colpi di occhi blu, baci appassionati, sbronze colossali e ripensamenti commoventi, assurdità e sensualità sempre al parossismo avrebbe perso con papà John una strada certo più conseguente.

Ma Nick, l'abbiamo detto, non è John. È probabilmente meno dotato, forza i toni satirici (l'impossibile sequenza dal fotografo omosessuale, la bimba che beve la birra), si perde in ghirigori estetici sotto la pioggia. E la sua splendida sceneggiatura, fatta di poesia lunare e di commovente attenzione alla condizione umana finisce per essere inevitabilmente minata nella sua credibilità.

Ma i dialoghi sono di una naturalezza e di una vivacità straordinarie (quello che è stato giustamente definito come il "rap bianco" di Penn è un miracolo di espressione sopra le righe); e gli attori formidabili. Che recitino nella misura irresistibile come John Travolta o Harry Dean Stanton, nella frenesia stilizzata come Sean Penn, o nel doloroso male di vivere che si trasforma ad ogni istante in spensierato disincanto come nella bravissima Robin Wright, gli attori del film contribuiscono ad imprimergli una sinergia irresistibile che non sarebbe dispiaciuta all'autore di A WOMAN UNDER INFLUENCE.

Dalla follia che traspare sotto la normalità di John Travolta alla logica paradossale che nasconde la follia della coppia Penn-Wright SHE'S LOVELY riesce allora, malgrado certi suoi difetti che possono essere ancora considerati di gioventù, a volgersi in sfrontata e poetica riflessione sull'eterno dilemma amoroso.